Strade vuote, poche macchine e silenzio surreale. Sono le conseguenze del lockdown subito nei precedenti mesi in tutte le città d’Italia e anche in molte parti del mondo. Mentre noi siamo stati costretti, dalla nota pandemia, nelle nostre case, ad invadere gli spazi urbani arrivavano le più disparate specie di animali, domestiche e selvatiche.

Dalle caprette alle orche, passando per cinghiali e cervi selvatici, gli avvistamenti sono sempre più frequenti. Con l’umanità in quarantena, quindi, in tutto il mondo gli animali hanno riacquisito parte dello spazio metropolitano da noi già ampiamente occupato e sfruttato.

Non stupisce più, quindi leggere sempre più frequentemente notizie, relative a questi animali selvatici che provocano giornalmente disagi o danni all’interno delle città fino anche giungere a danni irreparabili come successo nel Cremonese, dove a provocare la morte di una ragazza di 20 anni è stato l’attraversamento improvviso di un cinghiale sulla carreggiata. Ogni mese in Lombardia si contano almeno 15 incidenti causati proprio da questi animali, secondo quanto denunciato anche da Coldiretti.

Senza proiettarsi negli scenari peggiori, potrebbe accadere anche banalmente che un animale domestico, sulla strada, porti la vettura fuori dalla carreggiata, provocando danni alla stessa, ai passeggeri, o direttamente che l’animale li causi nell’impatto con il mezzo.

Il tema quindi che si pone è individuare di chi sia, e se ci sia, una responsabilità per questo tipo di “incidenti”.

Partendo dall’art 2051 c.c. che recita “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”, si può costruire un quadro generale di base secondo cui il proprietario di un animale domestico risponde dei danni che l’animale medesimo procura a terzi. Egli viene sollevato da tale responsabilità se dimostra il caso fortuito ovvero che il danno si sia verificato per una causa eccezionale e assolutamente non prevedibile.

Per quanto attiene ai danni causati, invece dagli animali selvatici risponde l’Ente pubblico al quale viene affidato il controllo del territorio su cui l’animale si muove, Ente che solitamente è la Provincia.

Questa norma impone, quindi al soggetto, di qualsiasi tipo, che ha in gestione l’animale un obbligo di controllo particolarmente severo.

I maggiori problemi, però, nascono quando la proprietà dell’animale non fa capo a nessuno, ma appartiene al patrimonio faunistico nazionale. Secondo una parte della giurisprudenza, la presenza di un animale selvatico su una strada costituisce circostanza del tutto imprevedibile per l’automobilista. Viene alla luce, quindi una responsabilità per danni da cose in custodia, a carico dell’Ente titolare della strada o della società di concessione. Non si può quindi parlare sempre di negligenza dell’automobilista.

La Cassazione, con sentenza n. 27543 del 2017, ha modificato notevolmente l’indirizzo sopra esposto, propendendo per uno più restrittivo, secondo cui per ottenere il risarcimento non basta dimostrare il fatto in sé, ma anche il grado di colpa da parte dell’Ente, nonché, cosa avrebbe dovuto fare lo stesso per evitare il danno.

Ciò significa, a mero titolo esemplificativo, che se la Regione (o chi per essa) ha apposto la segnaletica con l’avviso “animali in transito” o “attraversamento animali selvatici” e ciò nonostante un animale provochi un incidente, non sarà sufficiente per il danneggiato provare la presenza dell’animale in mezzo alla strada, sbucato all’improvviso. Secondo la Cassazione infatti l’Ente titolare della strada non ha alcun obbligo di recintare o segnalare tutti i tratti boschivi, né deve predisporre l’illuminazione notturna lontano dai centri abitati.

In assenza di omissioni da parte dell’Ente non è possibile ottenere il risarcimento del danno.

Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, la numero 12112 del 22 giugno 2020, ha poi ulteriormente fortificato l’indirizzo già mutato nel 2017.

La Suprema Corte sentenzia che non è possibile attribuire la responsabilità all’Ente in ipotesi di sinistri causati da animali randagi. La Sezione III della Corte di Cassazione infatti sostiene che è impossibile ascrivere l’evento dannoso ad una responsabilità riconducibile al novero della custodia ex art 2051c.c. perché configurare un potere di controllo dell’Ente così vasto da garantire che la possibilità di un “attraversamento” animale non possa prodursi, non è praticabile nella realtà concreta.

Diverso invero è il caso della gestione della rete Autostradale: essa è infatti composta da una serie di strade che per loro natura e per le loro caratteristiche, devono poter garantire efficientemente un percorso in piena sicurezza.

La società che ha la concessione dell’autostrada ha una responsabilità oggettiva: la norma che disciplina questa forma di responsabilità, che prescinde da colpa o dolo, è appunto l’articolo 2051 c.c., già citato; la pericolosità costituita da eventuali animali randagi o selvatici, in un contesto nel quale le auto possono viaggiare a velocità elevata, rende obbligatoria una vigilanza superiore al normale. Anche secondo il tribunale di Parma, (Sentenza n. 489/2018), la presenza di un animale selvatico su una carreggiata autostradale costituisce circostanza del tutto imprevedibile per l’automobilista, ancor più se aggravata dall’orario notturno, pur essendo la visibilità buona. Va quindi dichiarata la responsabilità per danni da cose in custodia della società concessionaria che dovrà pertanto risarcire il danno.

In favore di molti automobilisti si può però sottolineare che molte Province hanno istituito un fondo di garanzia per le vittime di incidenti che coinvolgono animali selvatici. Fondi che prevedono, a prescindere dal fatto che vi sia una responsabilità dell’Ente, il pagamento di una somma a titolo di indennizzo che copre una parte, dei danni subiti dall’automobilista. Diviene, in questi casi, necessario attivarsi immediatamente presso la Provincia per verificare se questo fondo sussiste e le modalità di accesso all’indennizzo.

Ultimo, ma non meno dubbioso e incerto in giurisprudenza, è il caso specifico del proprietario dell’animale domestico che smarrito o fuggito è stato causa di un incidente; bisogna interrogarsi se le lesioni o la morte dell’animale possano consentire al proprietario di chiedere il risarcimento dei danni all’autore del fatto.

L’animale domestico, legalmente parlando, è parte del patrimonio del proprietario e in parte, anche in un certo senso del contesto familiare e affettivo del proprietario stesso, quindi la sua uccisione (o il suo ferimento) procura al proprietario dei danni; le spese per le cure veterinarie ad esempio oltre che al valore stesso dell’animale, inteso quindi sia sotto l’aspetto del valore economico sia sotto il profilo del valore affettivo che della sua eventuale produttività economica, come nel caso di un animale da pascolo (bovini, ovini ecc..) che, oltre ad avere un valore intrinseco in quanto capo di bestiame, ha un valore anche all’interno dell’attività produttiva del proprietario.

Ci si domanda quindi se il proprietario possa vantare il diritto di vedersi risarciti i danni morali, non patrimoniali, per la perdita di un animale da affezione.

In questi casi purtroppo, l’orientamento generale dei giudici sembra negare al proprietario la possibilità di ottenere il risarcimento del danno “affettivo” dal momento che si ritengono risarcibili solo i danni non patrimoniali esclusivamente nei casi in cui siano la conseguenza della lesione di situazioni riconosciute e tutelate dalla Costituzione.

Tuttavia i giudici di merito hanno continuato e tuttora continuano a dividersi circa la risarcibilità del pregiudizio conseguente alla morte o lesione dell’animale: ma va segnalato che non si può (ancora) parlare di giurisprudenza pacifica e univoca.

Avv. Maria Cristina Bruni                                Dott.ssa Marta Guidetti