Draghi: «Le cose vanno fatte perché si deve, anche quando sono impopolari»

Con questa frase Mario Draghi ha ricordato pochi giorni fa, Beniamino Andreatta, economista, politico e accademico italiano, a Bologna. Il ricordo che ne ha il presidente del Consiglio, è ancora valido se trasportato ai giorni nostri. Occorre, come diceva Andreatta, «prendere decisioni necessarie anche quando impopolari, le cose vanno fatte perché si devono fare, non per avere un risultato immediato»

Partendo da questo principio politico, non impropriamente utilizzato dal Presidente Draghi, è possibile analizzare i provvedimenti ministeriali che disciplinano il possesso e l’utilizzo del Green Pass, e che in questo periodo stanno evolvendo in particolar modo per quanto attiene il mondo del lavoro.

Il nuovissimo decreto legge n. 127 approvato dal Consiglio dei ministri il 16 settembre, è stato pubblicato in data 21 settembre 2021 in «Gazzetta Ufficiale».

L’obbligo di possedere e di esibire la certificazione verde COVID-19 entrerà in vigore il 15 ottobre e coinvolge tutti i luoghi nei quali viene svolta un’attività lavorativa: aziende, esercizi pubblici, negozi, studi professionali e anche le abitazioni private alle quali un lavoratore accede per lavorare, sia esso un lavoratore domestico o un artigiano.

Con irrogazioni di sanzioni da 600 a 1.500 Euro per i lavoratori sorpresi sul luogo di lavoro che risultino privi della predetta certificazione e da 400 a 1.000 Euro per i datori di lavoro che non abbiano verificato il rispetto della regola e che non abbiano predisposto le corrette modalità di verifica.

Inoltre il Decreto Legge prevede anche che, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro, i medesimi, sia pubblici che privati, che comunichino di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 o che risultino privi della predetta certificazione al momento dell’accesso al luogo di lavoro siano considerati assenti ingiustificati fino alla presentazione della predetta certificazione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro, senza che venga loro corrisposta la retribuzione né altro compenso o emolumento per quanto i predetti giorni.

Il Decreto specifica che per le imprese con meno di quindici dipendenti, dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata di cui al comma 6, il datore di lavoro può sospendere il lavoratore per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque per un periodo non superiore a dieci giorni, rinnovabili per una sola volta, e non oltre il predetto termine del 31 dicembre 2021.

Ovviamente non sono mancati i dissensi e i malumori tra i soggetti direttamente coinvolti e sprovvisti della certificazione verde tanto da far emergere le prima sentenze e ordinanze contro i ricorsi presentati dagli opponenti al Green pass stesso.

Il Tribunale di Roma, sezione lavoro, in data 28 luglio 2021, ha confermato, con ordinanza, il provvedimento con cui un datore di lavoro aveva sospeso una lavoratrice che, era risultata, a seguito della visita medica, “idonea con limitazioni” al lavoro, stante il rifiuto della medesima di sottoporsi a vaccinazione contro il Coronavirus.

Il medico competente, nello specifico, aveva dichiarato che la stessa non poteva “essere in contatto con i residenti del villaggio”, in considerazione del rifiuto dalla stessa opposto al vaccino contro il Covid-19.

Il datore di lavoro pertanto, le aveva comunicato la sospensione del lavoro e dalla retribuzione, atteso anche che, non sussisteva la possibilità di collocarla ad un diverso impiego.

Secondo il giudice il provvedimento assunto dal datore di lavoro, non era un provvedimento disciplinare “punitivo”, come sostenuto dalla lavoratrice, causato dal rifiuto a sottoporsi a vaccinazione quanto, piuttosto, un “doveroso provvedimento di sospensione” adottato in considerazione della parziale inidoneità alle mansioni, inidoneità, in presenza della quale, il datore di lavoro, oggi, a seguito dell’approvazione del Decreto n 127 dovrebbe considerare la dipendente assente ingiustificata, senza che possa godere della retribuzione.

Il Tribunale, sopra citato, in punto ha richiamato anche alcune argomentazioni espresse in una recente pronuncia di merito del Tribunale di Modena, datata 19 maggio 2021: in questa occasione è stato fatto riferimento al disposto di cui all’art. 20 del D. Lgs. n. 81/2008, da cui si evince che il prestatore di lavoro, nello svolgimento della prestazione lavorativa, è tenuto non solo a mettere a disposizione le proprie energie lavorative, ma anche a osservare precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto. Il datore di lavoro, inoltre, nell’affidare i compiti ai lavoratori deve tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e sicurezza. Il prestatore di lavoro “è quindi titolare di precisi obblighi di sicurezza e, pertanto, deve essere considerato soggetto responsabile a livello giuridico dei propri contegni. Per tale motivo è stato evidenziato dal giudice, che anche la protezione e la salvaguardia della salute dell’utenza rientrano nell’oggetto della prestazione lavorativa esigibile. Tutela della salute che, nell’ambito di questa eccezionale emergenza sanitaria, non può che attuarsi anche mediante la sottoposizione al trattamento sanitario del vaccino contro il virus Sars Cov-2.

Di conseguenza, un’ingiustificata astensione al dovere vaccinale, del lavoratore, rende la prestazione del medesimo, ove non vi sia la possibilità di ricollocare il dipendente altrove, inutile ed irricevibile da parte del datore di lavoro, in quanto “inidonea al soddisfacimento dell’interesse creditorio e alla realizzazione del sinallagma, così come obiettivizzatosi nel regolamento contrattuale”.

Inoltre se, come nel caso di specie, le prestazioni lavorative sono vietate dalle prescrizioni del medico competente, il datore non è tenuto al pagamento della retribuzione, secondo il giudice romano.

Si aggiunga che con due decreti pubblicati il 2 settembre 2021, n. 4531 e n. 4532, il presidente della terza sezione bis del TAR Lazio ha rigettato la richiesta che era stata avanzata dai ricorrenti di sospendere l’operatività del green pass entrato in vigore il 1° settembre per il personale scolastico e per gli alunni.

Il Tribunale regionale ha dichiarato che sull’asserita violazione del diritto del personale scolastico a non essere vaccinato deve essere rilevato che tale diritto, non ha valenza assoluta né può essere inteso come intangibile, esso infatti deve essere razionalmente correlato e contemperato con gli altri fondamentali ed essenziali interessi pubblici quali la salvaguardia della salute pubblica, l’interesse a circoscrivere l’estendersi della pandemia e quello di assicurare il regolare svolgimento dell’essenziale servizio pubblico della scuola in presenza, che fino ad oggi non ha trovato altro modo di operare se non in DAD; in ogni caso il predetto diritto è riconosciuto dal legislatore il quale prevede in via alternativa la produzione di un tampone antigenico rapido con risultato negativo al virus Sars-Cov 2, che dà la possibilità, sempre in base alle ultime disposizioni normative contenute nel Decreto Legge n 127 di ottenere la certificazione verde avente validità di ben 72 ore, rispetto le precedenti 48. Inoltre viene previsto il rilascio della predetta certificazione anche a seguito del risultato negativo di un tampone salivare, con validità di 48 ore.

Nell’ottica del legislatore la presentazione del test in questione costituisce una facoltà che rispetta a pieno il diritto, in questo caso specifico, del docente a non sottoporsi a vaccinazione che è stata prevista nell’esclusivo interesse di quest’ultimo (facoltà che viene agevolata dalla riduzione del costo del test antigenico che passa da Euro 22 a Euro 15).

Afferma il TAR che “l’automatica sospensione dal lavoro e dalla retribuzione prevista dal comma 2 dell’art.9 ter D.l. n. 52/2021 e la mancata adibizione del personale scolastico ad altre mansioni è giustificabile alla luce della tipicità che mansione del docente assume all’interno di un istituto scolastico.”

Il TAR quindi affronta la questione già sollevata molte volte del rapporto tra green pass e obbligo vaccinale svolgendo osservazioni relative in primo luogo, al fatto che anche il diritto alla salute non è un diritto “inviolabile” dovendo, in questa situazione emergenziale, essere necessariamente contemperato con altri diritti, è lo stesso art. 32 Cost. che, dopo aver riconosciuto che la salute è un diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, prevede che per disposizione di legge si può obbligare ad un trattamento sanitario, quale la vaccinazione. In secondo luogo riconoscendo che è lo stesso legislatore ad aver previsto un’alternativa valida, ovvero la presentazione sul luogo di lavoro di un test antigenico o salivare rapido con risultato negativo.

Green pass, quindi, non equivale a obbligo vaccinale. Sembrerebbe quindi superata la prospettazione secondo cui la previsione del green pass possa equivalere, nella sostanza, alla previsione di un obbligo vaccinale. L’azienda Siemens, tra l’altro, ha anticipato il governo, istituendo già da fine settembre l’obbligo di esibire la certificazione verde per poter accedere agli uffici aziendali di Milan e alle altre sedi italiane, con possibilità di usufruire dello Smart Working per chi sprovvisto del Pass, creando quindi una strategia che incentiva la vaccinazione per poter rientrare fisicamente a lavoro.

 

Avv. Maria Cristina Bruni                                                 Dott.ssa Marta Guidetti